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Ipnosi Ericksoniana

La vera vocazione di ognuno è una sola, quella di conoscere se stessi. (Hermann Hesse)

Ipnosi Ericksoniana

L’ipnosi è stata creata da Milton Erickson, uno psichiatra americano. Quello che noi oggi conosciamo come ipnosi deriva in realtà dal lavoro che facevano gli sciamani già parecchi secoli fa. Il loro scopo era quello di curare i pazienti. I loro pazienti erano persone della loro tribù. Oggi nel campo medico l’ipnosi essendo molto diversa ha comunque lo stesso scopo delle precedenti di curare con l’ipnosi le persone, ma oggi si parla di curarsi con l’ipnosi e non solo di ipnosi.

Una delle tecniche più importanti associata all’ipnosi è la dissociazione. La dissociazione è molto importante perché facilita il passaggio dell’individuo dallo Stato di veglia a uno stato di trance.

L’ipnosi ericksoniana poggia le fondamenta sulla trance di tipo naturalistico, cioè del tipo che ognuno di noi sperimenta durante il suo normale ciclo diurno. Nel momento in cui ciascuno di noi è fortemente focalizzato e concentrato su un determinato pensiero o su una certa immagine oppure  sul monitor di un computer oppure davanti alla televisione o al cinema, quella secondo Milton Erickson è una trance di tipo naturale. La trance di per sé NON è TERAPEUTICA!!! Risulterebbe terapeutico piuttosto il costruire qualcosa all’interno di questa trance, un progetto  ad hoc sulla persona.

L’ipnosi ericksoniana non considera l’inconscio dell’individuo come fanno le terapie di stampo psicoanalitico, un calderone di pulsioni primarie. Erickson considera invece l’inconscio umano come una grande risorsa che, così come guida il sistema nervoso autonomo a garantirci la sopravvivenza, può essere guidata a far funzionare meglio l’organismo. Anche quando mostra segni di evidente malfunzionamento, dunque, l’ipnosi ericksoniana, considera che l’inconscio cerca di agire a fin di bene, come per difendere ciò che ritiene a rischio. In ipnosi, l’ipnotista ha la possibilità di entrare in comunicazione direttamente con questa parte inconscia, senza che la logica dell’emisfero dominante interferisca. Perciò l’ipnotista   può chiedere semplicemente: “Puoi far sì che questo comportamento finisca?” e in caso di risposta positiva da parte dell’inconscio del paziente l’intervento potrebbe essere già finita.

Durante la trance, si può notare, generalmente, una perdita del giudizio critico, e cose come un sogno ad occhi aperti possono divenire facilmente realtà. Pensiamo, per esempio, alla logica confusa dei sogni. Secondo Milton Erickson, il padre della nuova ipnosi, durante la trance ipnotica, l’ipnotista può influenzare il soggetto, proprio grazie al linguaggio ipnotico, una specie di linguaggio primario, tipico dei sogni, appunto. L’ipnosi alla fine, usata come metodo permette proprio una modalità d’intervento basata su questo.

Come intendeva l’inconscio Erickson

Tratto da Psicoterapie brevi:

L’inconscio è inteso da Erickson come un grande serbatoio di risorse: “Associa immagini, sensazioni, idee e simboli secondo rapporti di analogia e somiglianza che hanno fra loro, operando in un presente permanente. Queste catene di associazioni si spezzano e si intersecano, si allacciano e si sciolgono in una complessità che sfida qualsiasi analisi razionale. È questo il motivo per cui Erickson considerò l’analisi freudiana dell’inconscio un’impresa prometeica, irrealistica e inefficace. La complessità dell’inconscio e la povertà dei mezzi del conscio sono tali che è meglio lasciare che sia l’inconscio a disfare ciò che ha fatto. La terapia deve solo fornirgli il contesto in cui farlo. Tanto peggio se non comprendiamo il motivo per cui il paziente sta meglio!”

(Dominique Megglé, Psicoterapie brevi, Red Edizioni, 1998 Como, p. 122)

Erickson quindi non insegna alcuna teoria al paziente ma entra nel mondo del malato e mira a comunicare direttamente alla sua mente inconscia secondo il suo linguaggio.

Erickson riprende antiche procedure di guarigione come l’uso delle metafore “Esse aiutano a indurre uno stato ipnotico e a curare il malato. Se, sentendo una storia, il paziente manifesta improvvisamente i segni di una trance, significa che l’ipnotista ha raggiunto il cuore del problema. La storia, per essere ipnotica, deve avere rapporti metaforici con il problema in questione, ma soprattutto non deve avere con quello un rapporto razionale evidente, altrimenti la mente conscia se ne approprierebbe per dissertare. Le metafore consentono di aggirare le resistenze che il paziente oppone al cambiamento: sono un modo indiretto di suggerire delle piste di soluzione all’inconscio” (Dominique Megglé, Psicoterapie brevi, Red Edizioni, 1998 Como, pp.125-126).

Anche l’uso di prescrizioni paradossali, di compiti a casa, di rituali, di corvée… ricorda l’agire di un maestro Zen, di uno sciamano oppure di un guaritore. Questi compiti impartiti al cliente da una parte impegnano la mente conscia dall’altra evocano un cambiamento e sono carichi si significati simbolici.

Secondo Erickson il terapeuta deve promuovere il cambiamento tramite questi “inganni” per liberare il paziente dalle limitazioni apprese:

“… la coscienza dell’uomo moderno razionalistico gli permette di sfruttare solo in minima parte le sue risorse mentali. Ecco perché l’approccio ericksoniano, a differenza della maggior parte delle psicoterapie tradizionali volte a rendere coscienti i contenuti inconsci, consiste nell’attivare le associazioni inconscie eludendo l’intenzionalità cosciente del soggetto. “Se il suo Io fosse capace di risolvere il problema – fa rilevare Erickson – il paziente non avrebbe bisogno di un terapeuta.” (Walter Oberhuber Ipnosi, FrancoAngeli, 2000 Milano, p. 35)

Alcuni esempi di approcci Ericksoniani

Prima di iniziare con alcuni esempi occorre tener presente che l’approccio Ericksoniano a differenza di altri approcci terapeutici lavora sempre con l’ipnosi anche quando la terapia è apparentemente non ipnotica.

Alcuni fenomeni presenti nelle trance medie e profonde sono riscontrabili anche nella “comune trance quotidiana” così come l’istaurazione di quel particolare sincronismo interattivo denominato rapport.

Alcuni principi base di questa forma di approccio sono:

  1. Non è necessario rendere cosciente l’inconscio
  2. Utilizzate in modo creativo ciò che c’è già, create nuove connessioni, nuovi isomorfismi
  3. Non è necessario che la suggestione sia diretta
  4. Cominciate da poco e da vicino e poi create un campo affermativo positivo
  5. L’approccio naturale è sempre il migliore
  6. Create un effetto pratico e comportamentale nella vita del cliente
  7. Superate le limitazioni apprese attraverso la ristrutturazione
  8. Utilizzate la dissociazione
1. Non è necessario rendere cosciente l’inconscio

Erickson diceva:

“Dobbiamo occuparci della mente inconscia, effettuare a quel livello la terapia e poi trasferirla alla mente conscia.” (p. 100 – Opere Vol IV)

A questo proposito si potrebbe aprire tutto un capitolo sull’utilizzo dell’amnesia nella terapia Ericksoniana.

L’utilizzo dell’amnesia consentiva a Erickson di aggirare le limitazioni apprese e quindi riorganizzare il mondo psichico del paziente nel modo più ecologico possibile per poi far emergere naturalmente e spontaneamente il cambiamento in un modo accettabile per la mente conscia.

Erickson poteva dare delle prescrizioni terapeutiche mentre il cliente era in trance alla stregua di comandi post-ipnotici, poi induceva un’amnesia per proteggere le suggestioni. Uno stato di trance di questo tipo poteva essere indotto anche tramite la conversazione, per esempio tramite un discorso lungo, vago e generico sempre più frequentemente inframmezzato con suggestioni di stanchezza e sonnolenza.

L’amnesia poteva essere indotta anche tramite metodi naturali quindi non direttamente e tramite commenti casuali del tipo: “Lei ha sentito tutto quello che ho detto perché è qui nello studio, e se lo ricorda qui anche se una parte di lei potrebbe pensare di non poter dimenticare ma solo perché è seduta qui in questa stanza e quindi non è necessario che non avvenga tutto subito”.

Erickson studiando le varie forme di amnesia spontanee in stato di veglia aveva riconosciuto gli eventi che scatenavano naturalmente queste amnesie e quindi poteva riprodurle indirettamente.

Una amnesia spontanea può essere prodotta per distrazione dell’attenzione, per interruzione dei nessi associativi in corso o per continuazione e riaggancio a un flusso di pensieri precendenti.

Il primo caso si verifica quando una persona si presenta e stringe la mano all’interlocutore per poi dimenticarne il nome. Ciò accade perché l’attenzione è distratta dal compito piuttosto coinvolgente della presentazione.

Il secondo caso accade quando veniamo interrotti dal nostro discorso con argomenti non correlati. Ciò interrompe il flusso dei nostri pensieri e ci fa perdere il filo. Il nesso associativo può anche essere un’ancora ambientale. Per esempio quando usciamo dalla stanza in cui ci è sorta un’idea per attuarla e poi strada facendo ce ne scordiamo…

L’amnesia è facilmente strutturabile se ci rendiamo conto di quanto le informazioni siano stato dipendenti. Col termine stato dipendenti si intende informazioni dipendenti dalla fisiologia e dal contesto:

“Recentemente alcuni ricercatori hanno fatto imparare a memoria delle filastrocche senza senso a 48 soggetti volontari in stato di ubriachezza. Quand’erano lucidi ricordavano con molta difficoltà ciò che avevano imparato, mentre quando erano nuovamente ubriachi lo ricordavano assai meglio. […] Dalla natura legata allo stato dell’esperienza, e dal fatto che vi sia amnesia tra lo stato di normale esperienza quotidiana e tutti gli altri stati di iper- e ipoeccitamento, consegue che il cosidetto ‘subconscio’ altro non è che quest’amnesia chiamata in altro modo. Pertanto, invece di postulare un solo subcoscio, penso che vi siano tanti strati di autoconsapevolezza” (p. 102 – Opere Vol. III).

In effetti accade che ci sia una continuità di ricordo tra una trance e l’altra o tra una notte di sogni e l’altra così come tra uno stato di veglia e l’altro e un’amnesia fra questi stati di consapevolezza.

Tramite l’ipnosi inoltre è possibile risalire a vari tipi di memorie dissociate come i ricordi traumatici o le memorie coorporee. In genere per rievocare questo tipo di memorie che non fanno parte della memoria dichiarativa si chiede al soggetto di concentrarsi su una sensazione e risalire al primo momento in cui si è verificata (cercando quindi di aggirare la rammemorazione linguistica tramite un’ancora cenestesica).

Potremmo considerare l’amnesia spontanea da trance come l’effetto di una interruzione dello stato di consapevolezza normale e quindi dei suoi nessi associativi. La dissociazione infatti non è altro che l’interruzione o la mancanza di nessi associativi. Le informazioni che non si integrano nella coscienza di veglia rimangono dissociate.

Per esempio al risveglio dal sonno con il ritorno alla consapevolezza normale entro breve si spezzano i legami associativi e spesso ci dimentichiamo ciò che abbiamo sognato se non lo scriviamo subito o se non ci ripensiamo durante lo stato ipnagogico (la fase tra il sonno e il risveglio).

Anche subito dopo la trance succede qualcosa di simile:

“Erickson si attiene alla prassi di non parlare al paziente che si è appena risvegliato dalla trance di quanto è accaduto in tale stato. Lo stato di trance persiste per qualche istante dop il risveglio e le domande rivolte ai soggetti in questo periodo consentono spesso la completa rammemorazione. Erickson tipicamente intrattiene per qualche momento il paziente che è appena uscito di trance in conversazioni casuali, aneddoti, storielle paradossali lontanissime dall’esperienza ipnotica, per provocare un’amnesia per distrazione. Oppure a volte lo ‘caccia’ dallo studio per evitare di parlare della trance. Lo distrae e fa tutto il possibile per rendere la situazione da veglia completamente diversa da quella di trance e provocare così l’amnesia.” (pp. 86-87 – Opere Vol. III)

A volte faceva qualcosa di più complicato tramite la tecnica dell’amnesia strutturata. L’amnesia strutturata crea una serie di nessi associativi prima della trance che vengono in seguito ripresi alla conclusione della trance per dare una amnesia di tutto ciò che è accaduto “nel mezzo”.

Il nesso associativo può anche essere ambientale e comportamentale (si riprende a fare ciò che si stava facendo un attimo prima di indurre la trance).

I comandi post-ipnotici sono un chiaro esempio di dissociazione fra memoria procedurale e memoria dichiarativa a partire da una ingiunzione paradossale: “Fai ciò che ti dico ma dimentica l’ordine”. Il soggetto sarà quindi in grado di fare quanto ordinato ma senza spiegarsi il perché.

2. Utilizzate in modo creativo ciò che c’è già, create nuove connessioni, nuovi isomorfismi.

In effetti è da questo tipo di processo che sorgono le nuove idee artistiche e scientifiche e si fanno delle “scoperte”.

In terapia utilizzare in modo creativo ciò che c’è già vuol dire diventare padroni del sintomo rispecchiandolo, prescrivendolo, apportando piccoli cambiamenti, utilizzandolo o sostituendolo con un altro sintomo meno inabilitante che tuttavia soddisfa gli stessi bisogni di fondo.

3. Non è necessario che la suggestione sia diretta

“La maggior efficacia delle suggestioni indirette può essere spiegata in questo modo. Nella maggior parte delle trance la coscienza non è mai assente del tutto, ma assume un atteggiamento di osservazione: in parte il soggetto si perde nell’esperienza in atto, ma in parte l’Io osserva tranquillamente ciò che sta succedendo, come accade a fare in sogno.

Quando si dà una suggestione diretta […] l’Io che la osserva ne prende nota, […] dopo averne preso nota, l’Io ha la facoltà di scegliere se metterla in atto oppure no. […] Ma quando la suggestione è data indirettamente, anche l’Io che osserva tende a non accorgersi di aver ricevuto una suggestione. Se vi è pochissima o nessuna consapevolezza della suggestione, vi sono pochissime possibilità di discuterla e di rifiutarla, o non ve ne sono affatto.” (p. 88 – Opere, Vol. III)

 

4. Cominciate da poco e da vicino e poi create un campo affermativo positivo

Erickson a una ragazzina di dodici anni che aveva avuto una paralisi e non riusciva a muovere le braccia disse di cominciare col mettersi davanti allo specchio a fare delle boccaccie (in questo modo contraeva indirettamente i muscoli del petto). La ragione di questo strano intervento è presto detta, da un lato aggira la resistenza, dall’altro inizia da un piccolo cambiamento per diffonderlo indirettamente altrove:

“Ora, quando si comincia a far muovere un muscolo, il movimento tende a diffondersi a tutti i muscoli. Provate a muovere solo un dito. Il movimento comincia a diffondersi, senza che lo vogliate.” (La mia voce ti accompagnerà, Astrolabio, p. 105)

Creare un campo affermativo positivo è anche dire che una anestesia può durare 10 minuti come 11 minuti. E se ne può durare 11 potrà durarne anche 12. E se ne dura 12 sicuramente ne potrà durare anche 14. E se ne dura 14 potrà durare anche 17. Se ne dura 17, ne potrà certamente durare almeno 20. E così via fino a durare ore, fino a durare un giorno. Ma se ne può durare un giorno ne può durare anche due…

5. L’approccio naturale è sempre il migliore

I risultati più efficaci, facili e duraturi sono quelli che si producono naturalmente. Predisponete la situazione perché il risultato voluto ne sia una conseguenza naturale.

6. Create un effetto pratico e comportamentale nella vita del cliente

Potete solcate il mare all’insaputa del cielo come nell’esempio che segue oppure creare uno schock psicologico o una esperienza emozionale correttrice capace di rompere il vecchio schema di riferimento e avviare un processo creativo di risintesi interiore.

“Una ragazza veniva a scuola tenendo sempre la mano sinistra sopra la bocca. […] Quando diceva la lezione in classe, quando camminava per strada, quando mangiava al ristorante, aveva sempre la mano sinistra sopra la bocca. […] Dopo molti incitamenti mi raccontò di una terribile esperienza che aveva avuto all’età di dieci anni. In un incidente di macchina, era stata catapultata oltre il parabrezza. […] Il vetro del parabrezza le aveva tagliato la bocca […] Così crebbe con l’idea di avere la bocca orribilmente sfregiata, ed ecco perché la teneva sempre coperta, perché non voleva che nessuno vedesse l’orribile cicatrice. […] Così la persuasi ad andare a un appuntamento con uno degli studenti. Lei doveva portarsi appresso due pesanti borse […] A questo appuntamento, e a tutti i successivi, scopri che se permetteva che le dessero un bacio sulla porta di casa, l’uomo invariabilmente la baciava dalla parte della bocca in cui c’era la cicatrice. […] Quello che non sapeva, era che lei era curiosa, e quando era curiosa piegava sempre la testa a sinistra, un uomo doveva per forza baciarla sulla parte destra della bocca!”

(La mia voce ti accompagnerà, Astrolabio, p. 49)

 

7. Superate le limitazioni apprese attraverso la ristrutturazione

L’importante è cogliere le differenze nel modo più ecologico e creativo possibile:

“C’era uno studente universitario, che al liceo era stato capitano della squadra di baseball, e che al liceo era stato capitano della squadra di football. […] Ma si riscontrò che i suoi avanbracci presentavano una normale differenza di 2-3 centimetri. Era distrutto. Venne da me e mi disse: “Lei non sa cosa vuol dire essere un invalido”.

[…] Vedete, quando un paziente mi dice che io non so cos’è il dolore, e che non so cosa vuol dire essere invalido, io mi permetto di dire che si sbaglia. Proprio così. E posso dimostrare molto chiaramente che il fatto di essere rimasto paralizzato dopo il liceo non mi è stato di alcun ostacolo. E non potevo muovere nessuna parte del corpo, a eccezzione delle pupille. Ho imparato il linguaggio del corpo.

E quando andavo all’Università, il primo anno andai a vedere Frank Bakon in Lightning. Quell’attore divenne celebre, perché nel corso della commedia sapeva dire ‘no’ con sedici diversi significati.

La sera dopo tornai a teatro, e contai tutti i significati diversi.” (La mia voce ti accompagnerà, p. 145)

È chiaro che se fossiamo capaci di fare distinzioni diverse della realtà anche il nostro comportamento sarebbe diverso.

E così Erickson racconta che

“Se voi aveste paura dell’altezza e non riusciste a salire sullo Squaw Peak, io che farei? Vi disorienterei nel tempo, anche se dovessi tornare indietro dieci o dodici anni. Vi farei andare a fare una passeggiata come se aveste diciotto ani di meno, quando probabilmente non avevate quella fobia. Così salireste su quella montagna, per vedere cosa c’è dall’altra parte.

Oppure, se non riuscissi a fare questo, disorienterei la vostra percezione delle cose in modo che la montagna vi appaia pianura, un pezzo di pianura, come soffici zolle che potrete tranquillamente attraversare. […] In un caldo giorno d’estate, mentre dormite, potete andare a pattinare sul ghiaccio. Potete pranzare a New Orleans, a San Francisco o a Honolulu. Potete volare in aeroplano, guidare un’automobile, incontrare amici d’ogni genere, e siete sempre a letto profondamente addormentati. […] La trance non fa altro che permettervi di utilizzare tutte le cose che avete già imparato. E spesso noi diamo poco peso a tutte le cose che abbiamo imparato.” (La mia voce ti accompagnerà, p. 60-61)

È possibile tornare nel passato per recuperare le risorse e le cose imparate, ma è anche possibile muoversi nel futuro tramite la tecnica dello pseudo orientamento nel tempo. Tramite questa tecnica Erickson disorientava la persona e poi la riorientava nel futuro proiettandola in qualche data dove il suo problema sarebbe stato risolto. Da quella posizione privilegiata la persona poteva volgersi indietro e rivedere lo svolgimento proggressivo degli eventi che l’avrebbero condotta al successo, poteva assaporare questo successo e questo cambiamento superando lo stato problematico presente.

Potremmo paragonare questo approccio a una tecnica “come se”: credere di aver già realizzato certi risultati determina una retroazione del futuro sul presente tale da riorganizzare i pensieri e comportamenti come una profezia che si autodetermina. Per lo stesso motivo le profezie e le predizioni possono essere tanto efficaci (nel bene e nel male) perché predire qualcosa equivale a provocarla: nel momento in cui si vede o si predice il futuro lo si sta già modificando. Siamo profeti di noi stessi.

8. Utilizzate la dissociazione

Le tecniche finora descritte possono essere abbinate con il fenomeno della dissociazione. Per esempio la regressione, l’amnesia, l’analgesia sono potenziate dalla dissociazione. Anche la ristrutturazione perché la dissociazione consente di vedere oggettivamente gli eventi semplicemente osservandoli in modo distaccato e senza provare le risposte emotive che vi sono solitamente associate. Tramite lo pseudorientamento nel tempo si può guardare al tempo presente in modo oggettivo e distaccato.

Erickson faceva allucinare in delle sfere di cristallo vari episodi della vita della persona (perché “le sfere di cristallo create per allucinazione sono comode, facili da maneggiare e straordinariamente economiche.” Opere -Vol IV, p. 450) creando una dissociazione e una amnesia rispetto alla persona che appariva nelle scene così da rivedere la propria vita in modo oggettivo stimolando nuove associazioni a proposito di “quella persona”:

“Puoi sognare te stessa come una bambina piccola, chiedendoti chi sia quella bambina. E puoi guardare quella bambina diventare più grande, settimana dopo settimana, mese per mese, anno per anno. Finché alla fine puoi riconoscere chi sia quella bambina che sta crescendo.” (Tecniche di suggestione ipnotica, p. 64-65).